Monday, April 30, 2007

Pizzo Arera, 2577 m. - 30 Aprile 2007


30 Aprile 2007
Pizzo Arera, 2577 m.

Durata: 3 battiti d'ala in salita.
1 battito e mezzo al ritorno correndo tra i lampi.

Dalle ansimanti nebbie delle selve brembe, nella valle oscura e verde, tiepida e selvaggia, nel frizzante e ruggiado già ben sveglio mattino, il bosco traboccante di oscuro lascia il passo compiacente ai baldanzosi spadieri che con passo lungo sviolinano pensieri danzanti, sognando le rupi campestri che guardano in viso solo le aquile e le ardite poiane.
Le bestie trolliane si inerpicano bramando il sentiero, gustando il passo pesante che accompagna il peso danzoso sui sassi e i ghiaioni e sentieri asfaltati. Il corpo pulsante, il fiato a pieno regime, e il corpo ben oliato sono tutti perfetti scalini che celebrano ottimi tempi e l’entusiasmo a ogni tappa accresce la gloria e il desiderio di trionfo e di gioia che innonda le tavole e la gloria del trionfo in libido. Con il petto già in gioia, i 2 maremmani orsi bianchi arrivano ai piedi della selvaggia madre che li richiama alla sfida, dove sono le aquile vergini sfiorano il freddo grembo di madre temibile e crudele. La roccia si inscurisce e attende cattiva il passo falso dell’uomo irrequieto. Nera e sassosa attende tra le nubi, cupa e allegramente sfidante.
Il Pizzo tra le nebbie chiama e stride alla possibile gloria, mai scontata. Ricordi di morti in mano alla Vergine avvisano il sentiero dell’uomo che inscurisce lo sguardo ma saldo, calcola il rischio e consapevole abbraccia la sfida, tenendo per braccio la morte sorella. Si aggrappano al suo tenero mantello e si fanno portare. Si dividono le strade tra gli oscuri sentieri, non chiari nelle nuvole. Ghiaioni, rocce impervie, strapiombi e ghiacci perpetui. Jah svelto si perde tra le cime incredule di cotanta potenza. Ema resta e si perde tra le rocce bianche, tra le prossime piogge e il bianco calcaree.
Il guerriero del respirante Nord si perde e lascia il mantello fraterno che ingannava il passo verso l’errato sentiero. Errati sentieri schermati a cammini, dritti foraggi per i campi elisi. Riconosce l’errore e ancora poi lo riconosce. Ricalcola il passo, ricalcola il percorso. A un tratto la croce, la luce, speranza. Poi più nulla. Non si vede a un passo. Solo il respiro. Urla e richiami ma nessuna risposta. Il vento taglia la voce. Rompe il pensiero. Incupisce i passaggi. A un tratto lo smarrimento finisce e di nuovo, come sempre, l’incontro fraterno. Ci si incontra tra le rocce, sopra una cima. Dall’altra parte del sentiero, una catena nella roccia. Un passaggio obbligato tra le voci urlanti dal baratro. Pochi passi, in catena su rocce ghiacciate.


Le ultime fatiche, arrampicandosi sui massi, a mani nude, con alle caviglie un kilo e mezzo di scarpa elfica. Poi, tra le nuvole, la cima. Il freddo, lo zero. Il richiamo.
Eagle has landed. Un’altra volta, l’urlo, il richiamo che rompe il silenzio e ricorda sulla croce, la celebrazione del rito e la speranza, la costanza che ripaga e danna l’ozio e il vizio. Insieme fratelli, d'impresa e di conquista. Conquistatori di terre bimbe.




Poi la neve, il freddo, il tuono. Tempesta.
Poche frasi su un libro, lasciato a segnale, come un ramo spezzato in una giungla. E’ confusione.
La montagna è un vomito di fango, liquido, scosceso, fumo e freddo. Frana e smotto, roccia bagnata e nella corsa, la mente è leggera anche se il passo è pesante. Perchè la tacca è segnata nella memoria marmorea. Nel cuore indissolubile.
Si scende veloci, con la catena in un lampo. Si è quasi al rifugio, seduti a tavola con il pensiero. Una camminata furiosa e attenta, tra la neve che svelta ricopre il sentiero. Ma non abbastanza. Il tempo risparmia l’attesa. E siamo al rifugio, tra i fulmini e i lampi.
E’ ristoro. Si mangia, è il vitto e l’alloggio. Si veglia e si festeggia. Si celebra la gioia. I cuori in festa. Ma con parsimonia di energia; un pensiero al ritorno. Il tempo peggiora. Attendiamo che la tempesta si quieti. Appena pronti, aperta la porta di quercia ci lanciamo giù per il costone, tra il nevischio e il fango. Gli ultimi tuoni e corriamo per le erbe, nelle terre brembe. Al secondo rifugio la quiete rilassata. Solo pioggia, scrosci e il tempo per bere riposare e sognare i futuri viaggi, con il cuore verso viaggi lontani e di speranza. Parole e discorsi di sogni e di miti lontani. Terre nordiche, terre fredde per i 4 continenti, le cime più alte, le vergini terre che cullano i sogni dei sani viaggiatori, spasimanti e pretendenti amanti.
Siamo nella foresta che ci ha sputato fuori al far di colazione, ora ci ingoia tra la pioggia e bagnati, rinfrescati e rinvigoriti, ci rifugiamo per celebrare con gioia l’inno di lode, la celebrante materia della viva terra, la fiamma forgiante il seno prezioso pesante della Santa Madre, il sacro dono di Dio e dei Santi tutti: il metallo.
E con inni di lode e gloria per sempre celebriamo così una giornata di inno e avventura, dove le aquile fedeli alla terra e alle tecniche di ghiaccio misto roccia giungono spensierate sui comiglioli più nascosti e celebrati della terra.
Ogni adepto ricordi il vangelo mentre si inerpica sulle vie nascoste agli occhi degli uomini distratti.
Eagle has landed. One more!

To be continued…

See the next !!

Ema, the legend !


ema@sorijev.com

http://www.emathesun.blogspot.com/

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